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5 consigli per migliorare la vita di un paziente disfagico

Alimenti perfettamente omogenei, bevande addensate al giusto livello di consistenza, corrette posture durante la deglutizione e non solo. Esistono anche alcuni preziosi accorgimenti per migliorare la vita di un disfagico.
Ecco 5 consigli pratici che possono aiutare a migliorare la vita di un paziente disfagico:

  1. Posizione corretta durante il pasto
    La postura è fondamentale per una corretta deglutizione. La posizione ideale è quella seduta, con il paziente che ha a disposizione sostegni per gli avambracci e i piedi poggiati a terra. Nei pazienti allettati, è consigliabile sollevare il tronco con l’ausilio di cuscini.
  2. Un ambiente tranquillo e confortevole
    L’ambiente in cui viene consumato il pasto gioca un ruolo importante. Scegliere un luogo tranquillo, silenzioso e ben illuminato aiuta il paziente a concentrarsi sulla deglutizione e a ridurre lo stress.
  3. Mangiare con calma e attenzione
    La fretta è nemica della deglutizione. È importante masticare bene ogni boccone e deglutire con calma, senza distrazioni. La durata del pasto non dovrebbe superare i 45 minuti per evitare stanchezza e perdita di concentrazione.
  4. Mantenere la postura durante tutto il pasto
    Una volta trovata la posizione corretta, è importante mantenerla per tutta la durata del pasto. Anche piccoli movimenti della testa o delle mani possono ostacolare la deglutizione.
  5. Igiene orale dopo il pasto
    Al termine del pasto, è importante mantenere il paziente nella stessa posizione per 15 minuti circa. Successivamente, procedere con un’accurata igiene orale per rimuovere eventuali residui di cibo dal cavo orale e prevenire il rischio di aspirazione.

Questi sono solo alcuni consigli pratici che possono aiutare a migliorare la vita di un paziente disfagico. È importante ricordare che ogni caso è unico e che il piano nutrizionale deve essere individualizzato in base alle esigenze specifiche del paziente.

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Disfagia

I disturbi della deglutizione: la polmonite ab ingestis

Il rischio maggiore in cui si può incorrere somministrando il pasto ad un paziente con problemi di deglutizione è il passaggio di cibo nelle vie aeree.

Si definisce penetrazione il passaggio del bolo nelle vie aeree sopra le corde vocali. Normalmente tale penetrazione è risolta dal riflesso protettivo della tosse. 

Si definisce aspirazione il passaggio di residui di cibi sotto le corde vocali. In questo caso il riflesso della tosse non è sufficiente ad espellere tali residui con gravi conseguenze a livello dell’apparato respiratorio.

Le polmoniti da aspirazione sono la causa più comune di morte nei pazienti con disfagia da disturbi neurologici. L’aspirazione è definita come l’inalazione del contenuto orofaringeo o gastrico nella laringe e nel tratto respiratorio inferiore. Il rischio di aspirazione è relativamente più elevato nei soggetti anziani a causa della maggiore incidenza di disfagia e reflusso gastroesofageo. Dopo l’aspirazione possono verificarsi diverse sindromi polmonari che dipendono sia dalla quantità e dalla natura del materiale aspirato, che dalla frequenza di aspirazione e dalla risposta dell’ospite al materiale stesso.

La polmonite da aspirazione propriamente detta – o Sindrome di Mendelson – è una lesione chimica causata dall’inalazione di contenuto gastrico sterile, mentre la polmonite ab ingestis è un processo infettivo causato dall’inalazione di secrezioni orofaringee colonizzate da batteri patogeni; sebbene vi sia una certa sovrapposizione tra loro, rappresentano due distinte entità cliniche.

La polmonite da aspirazione è caratterizzata dall’ustione chimica dell’albero tracheobronchiale e del parenchima polmonare dovuta all’acidità del contenuto gastrico, seguita da un’intensa reazione infiammatoria parenchimale. Poiché l’acidità gastrica impedisce la crescita di microrganismi, l’infezione microbica non ricopre alcun ruolo nelle prime fasi della polmonite da aspirazione, ma può averlo solo in una fase successiva, anche se l’incidenza di tale complicanza è poco conosciuta. Tuttavia bisogna ricordare che, quando il PH dello stomaco aumenta in seguito all’uso di antiacidi o inibitori della pompa protonica,d’uso frequente nell’anziano, può verificarsi la colonizzazione del contenuto gastrico da parte di microrganismi potenzialmente patogeni.

I segni e i sintomi dei pazienti che hanno aspirato contenuto gastrico, vanno dalla presenza di rigurgito gastrico nell’orofaringe all’insorgenza di rantoli, tosse, cianosi, edema polmonare, ipotensione e ipossiemia con rapida progressione verso il distress respiratorio acuto e la morte. Nella maggior parte dei casi si ha solo respiro affannato o tosse, mentre alcuni pazienti presentano quella che viene comunemente definita aspirazione silenziosa, evidenziabile solo radiologicamente.

La polmonite ab ingestis si sviluppa a seguito dell’aspirazione dall’orofaringe di secrezioni colonizzate da microrganismi; va tuttavia ricordato che questo è uno dei principali meccanismi attraverso cui i batteri – quali Haemophilus influenzae e Streptococcus pneumoniae che colonizzano l’orofaringe – penetrano nelle vie aeree. Infatti, circa la metà degli adulti sani aspira piccole quantità di secrezioni orofaringee durante il sonno, ma il loro contenuto microbico viene eliminato continuamente attraverso il trasporto ciliare attivo, i normali meccanismi immunitari e l’eventuale tosse. Tuttavia, se tali meccanismi sono compromessi o, se la quantità di materiale aspirato è abbondante, può verificarsi l’insorgenza di polmonite.

Nei pazienti anziani e in quelli che hanno subito un ictus e sono affetti da disfagia, vi è una forte correlazione tra il volume dell’aspirato e lo sviluppo di polmonite. 

La diagnosi di polmonite ab ingestis è basata su evidenze radiografiche di infiltrati polmonari a livello broncopolmonare. I fattori che aumentano il rischio di colonizzazione orofaringea da parte di microrganismi potenzialmente patogeni e che incrementano la carica batterica, possono aumentare il rischio di polmonite ab ingestis; ad esempio questo rischio è inferiore nei pazienti senza denti e nei pazienti anziani che ricevono una cura efficace e accurata del cavo orale. Infatti una pulizia non adeguata del cavo orale può comportare, in soggetti anziani, un’abbondante colonizzazione orofaringea da parte di potenziali patogeni del tratto respiratorio quali Pseudomonas aeruginosa, Staphylococcus nelle polmoniti acquisite in comuni.

Per quanto concerne gli agenti microbici causali di polmonite ab ingestis, è stata evidenziata una predominanza di Pseudomonas aeruginosa e di altri batteri Gram-negativi nei pazienti con sindrome da aspirazione contratta in ambito ospedaliero, mentre Streptococcus pneumoniae e Staphilococcus aureus, Haemophilus influenzae ed Enterobacteriacee, sono prevalenti nelle polmoniti acquisite in comunità.

È chiaro che il passaggio di alimenti nell’apparato respiratorio avviene con più frequenza durante la somministrazione dei pasti in pazienti disfagici anche in fase iniziale. Quando tale passaggio si manifesta con senso di soffocamento, tosse insistente e comparsa di colorito rosso o cianotico, il fenomeno diventa estremamente evidente a chi sta somministrando il cibo

 Assai più pericoloso può essere non risolvere i segni di passaggio di piccole quantità di alimento nei bronchi – aspirazione silente – in quanto spesso può non essere avvertito dallo stesso paziente. Devono indurre in sospetto alcuni fenomeni tra i quali:

  • Comparsa costante di alcuni colpi di tosse involontaria subito dopo, o comunque entro 2-3 minuti dalla deglutizione del boccone
  • Comparsa di velatura nella voce o di raucedine dopo la deglutizione di un boccone
  • Fuoriuscita di liquido o cibo dal naso
  • Presenza di febbre, anche se non elevata – 37,5- 38°C – senza cause evidenti; la febbre può essere infatti un segno di infiammazione o irritazione dovuta ad alimenti passati nelle vie aeree.

Se viene rilevato anche uno solo di tali segni è bene che si segnalino subito al medico e/o comunque a chi si occupa in prima persona del disturbo disfagico.

È utile sottolineare che il passaggio di alimenti nell’apparato respiratorio, attraverso la trachea nei bronchi e quindi nei polmoni, anche di piccole quantità ma con episodi ripetuti nel tempo, può dar luogo ad una forma di polmonite che inizia come un’infiammazione ma può evolvere, specialmente se la penetrazione di sostanze alimentari nei bronchi persiste, verso una forma infettiva più grave. Elevata attenzione, quindi, è richiesta durante la somministrazione dei pasti sia per quel che concerne i modi di somministrazione –postura, tempi ecc – che per quel che concerne la scelta dei cibi.

Durante la somministrazione dei pasti del paziente con problemi di deglutizione, è necessario prevedere una progressione di cibi basata sulla capacità deglutitoria dello stesso. La scelta degli alimenti, dipendente dal tipo e dal grado di disfagia, deve essere guidata principalmente dai seguenti criteri:

  • Sicurezza del paziente limitando il rischio di aspirazione – passaggio di cibo nelle vie aeree- attraverso la scelta di alimenti con idonee proprietà fisiche (omogeneità, viscosità, coesione)
  • Fabbisogno alimentare del paziente, con riferimento soprattutto all’apporto proteico, calorico e idrico, alle eventuali esigenze dietetiche e alle sue preferenze alimentari.

Se da un lato è.necessario che i cibi siano vari, appetitosi, adeguati dal punto di vista nutrizionale, dall’altro è prioritario mettere in atto tutte le azioni finalizzate a prevenire il rischio di passaggio del cibo nelle vie aeree e il conseguente rischio di polmonite ab ingestis.

Tra queste azioni raccomandiamo l’attenzione alla postura, l’applicazione di corrette modalità di somministrazione e un’articolazione della giornata alimentare in più momenti (almeno 5) così da ridurre lo sforzo del paziente.

Ma raccomandiamo soprattutto che la scelta dei cibi sia molto oculata e che i loro parametri reologici (in particolare omogeneità, assenza di doppia fase, consistenza, viscosità, viscoelasticità, coesione) siano adeguati per il paziente disfagico, mantenendosi assolutamente costanti nei vari contesti d’uso, dalla preparazione sino al momento della somministrazione.

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Disfagia

Come la demenza influenza le abitudini alimentari

Esistono molti studi di ricercatori riguardo il rapporto delle persone affette da demenza con il cibo e il modo in cui queste lo percepiscono. Tutti convergono sul fatto che mangiare non abbia unicamente una funzione biologica, ma rappresenti un’esperienza di incredibile rilevanza. A spiegare chiaramente in prima persona i vari aspetti che ruotano attorno al cibo e all’azione di mangiare ci ha pensato Wendy Mitchell, la quale nel libro “What I wish people knew about dementia” descrive come la malattia ha cambiato il suo rapporto con il cibo.

Puoi dirmi un segreto e lo terrò sempre perché semplicemente non lo ricorderò. Ma una cosa che non dimentico mai è che il cibo per me significava molto di più di adesso”, così Mitchell introduce l’argomento cibo nel suo racconto in prima persona su come vive la demenza.

Diversi significati del cibo

All’interno di qualsiasi cultura, il cibo assume un significato molto importante in quanto si fa portatore di tradizioni culinarie sviluppate e tramandate nel tempo strettamente collegate con il territorio, i suoi sapori e la sua comunità. In altre parole, il cibo, oltre ad essere collegato al piacere sensoriale, gioca un ruolo molto importante a livello sociale – basti pensare che il momento del pasto è anche un modo per scandire il tempo – e affettivo. Infatti, molto spesso i nostri ricordi associano sapori, ricette e cibi a determinati ricordi d’infanzia e a momenti di convivialità.

Mitchell descrive questo aspetto così: “In questi giorni devo persino impostare sveglie sul mio iPad per ricordarmi di mangiare: la parte del mio cervello che sente la fame ha smesso di funzionare molto tempo fa. Eppure, quando non provi più piacere dal cibo, ti rendi conto che è molto di più. È il modo in cui mostriamo amore come genitori, è il modo in cui ci leghiamo con gli amici, è una scusa per aver detto la cosa sbagliata, è un benvenuto nel quartiere.

E aggiunge: “Anche quando nel 2014, all’età di 58 anni, mi è stato diagnosticato l’Alzheimer ad esordio giovanile, ho usato il cibo in modo da addolcire i momenti amari che sono seguiti”.

La demenza cambia non solo le abitudini alimentari ma anche quelle culinarie

Quando si è affetti da demenza, non cambiano solo le abitudini alimentari, ma anche quelle culinarie perché cucinare diventa un grande problema. Man mano che la malattia avanza è sempre più difficile ricordare anche le cose più semplici, come preparare una tazza di tè. Mitchell racconta anche questo aspetto mostrando come cucinare passi da essere un atto di amore per sé e per gli altri a un momento di frustrazione, rabbia e impotenza e quei luoghi di colori, profumi e creatività diventino labirinti, confusione e caos. Perdere l’abilità di cucinare può essere vissuto come un vero e proprio lutto.

In questo caso, solo l’amore dei nostri cari può davvero aiutare a ritrovare un senso positivo alla preparazione del cibo. Mitchell racconta: “Mio genero, Stuart, ora cucina per me, solo due o tre volte a settimana, quindi non mi sento invadente. Ma i suoi sono gli unici pasti preparati al momento”. Rimane il gesto d’amore che adesso viene ricevuto invece di essere dato, ma che rappresenta comunque un momento di relazione percepita positivamente. Così, il momento del pasto può continuare a portare piacere sul piano relazionale, nonostante venga meno quello percettivo e sensoriale.

Anche mangiare fuori può diventare molto difficile. La stessa Mitchell lo riconosce: “Mangiare fuori era un lusso, ma ora è molto stressante”, e poi aggiunge: “Nei ristoranti, scelgo la prima cosa che riconosco che sarà facile da mangiare. Mai carne, perché richiede la giusta coordinazione per tagliare in piccoli pezzi maneggevoli, e questo mi ha lasciato molto tempo fa. Il semplice compito di tagliare il cibo richiede una seria concentrazione. Anche masticare non è facile come una volta”.

Capire quali sono le reali capacità delle persone affette da demenza diventa essenziale anche nella proposta del cibo e dei contesti dove consumarlo. È importante fare i conti con i nuovi ritmi e le nuove abitudini della persona affetta da demenza, che non può controllare il suo comportamento e la sua memoria.

Come far vivere meglio il cibo alle persone affette da demenza

Ciò che si può fare per far vivere al meglio il cibo alle persone affette da demenza è prendere in considerazione più aspetti possibili ed essere attenti all’altro senza sottovalutare nulla, nella speranza di far vivere al meglio anche i momenti del pasto come piacevoli e degni sempre di essere vissuti. Questo spesso si può tradurre nel rendere più semplice l’atto di mangiare o bere per permettere nei limiti del possibile una certa dose di autonomia. Quindi, scegliere pasti che sono in grado di consumare da soli o presentare il piatto in modo tale che possano consumarlo in autonomia.

Non sappiamo con certezza cosa causi la demenza e non sappiamo cosa mangiare o bere per prevenirla. Tutto quello che so è che ogni giorno è una sfida, una partita a scacchi da giocare con questa malattia nella mia testa e che sono determinata a vincere il più a lungo possibile”. Wendy Mitchell.

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Disfagia

Deglutizione atipica, perché è diversa dalla disfagia?

Diversamente dalla disfagia, la deglutizione atipica è un disturbo dovuto a una mancata evoluzione dell’atto deglutitorio dalla fase primaria infantile.

Esattamente come la disfagia, la deglutizione atipica rientra fra i cosiddetti disturbi deglutitori. Si genera a causa di una mancata evoluzione dell’atto deglutitorio dalla fase primaria infantile che può verificarsi nei bambini oltre i sette anni o negli adulti. La deglutizione atipica è dovuta quindi alla permanenza di uno schema di deglutizione infantile.

Il mutamento del tipo di deglutizione corrisponde alla fase di sviluppo del bimbo in cui compaiono i denti anteriori, alla modifica de cibo, da liquido a solido, al mutamento degli schemi posturali che avviano alla deambulazione autonoma  e allo sviluppo dell’articolazione temporo – mandibolare .

Alterazioni di questi passaggi o vizi ripetuti all’eccesso (biberon, ciuccio, ecc.) possono comportare il ritardo o la non insorgenza del riflesso deglutitorio fisiologico dell’adulto, con permanenza di quello infantile

Cause di deglutizione atipica comuni a bambini e adulti sono invece tutte le affezioni del cavo nasale come riniti ricorrenti o croniche, sinusiti e ipertrofia delle adenoidi che comportano una respirazione orale, impedendo la corretta chiusura dei denti e la lingua bassa in fase di deglutizione.

È evidente che si tratti un disturbo molto differente dalla disfagia, che è un sintomo secondario di patologie ben più gravi. La deglutizione atipica è invece una disfunzione di una o più fasi della meccanica della deglutizione che provoca anche un transito non corretto del cibo nelle vie digestive superiori.

Come avviene la deglutizione infantile?

Considerata l’assunzione quotidiana di cibo liquido attraverso l’allattamento al seno materno o biberon, il lattante tende a sporgere la lingua tra le gengive e a stringere le labbra al fine di produrre una pressione tale da consentirgli la deglutizione. Tale modello di deglutizione tende, con lo sviluppo, a mutare a seconda dell’alimentazione e al modo differente di nutrirsi.

Dopo una fase di deglutizione cosiddetta infantile, il bambino muta progressivamente la tipologia dell’atto deglutitorio a seguito della comparsa dei denti decidui anteriori e della modifica degli schemi nutrizionali (da un’alimentazione totalmente liquida a un’alimentazione composta a anche da cibi soldi). Tra i 18 e i 28 mesi la deglutizione del bambino viene detta mista.

Nei mesi successivi il bambino, assumendo cibi solidi, inizierà a serrare la bocca dopo la masticazione per consentire così alla lingua di spingere il cibo contro il palato e così verso la gola, per poi indirizzarlo verso l’apparato digerente.

Tipologie di deglutizione atipica

Analizzato il meccanismo deglutitorio in fase infantile ora è più semplice descrivere le differenti tipologie di deglutizione atipica. Tra le principali segnaliamo le seguenti:

– Deglutizione a spinta linguale semplice: si tratta di un disturbo non particolarmente grave e facilmente rieducabile in quanto il soggetto, in fase deglutitoria, stringe regolamente i denti e non pone la lingua tra le arcate dentarie. In questi casi si verificano frequentemente: morso aperto circoscritto, profusione linguale sulle arcate alveolari durante la deglutizione, contrazione dei muscoli elevatori, tendenza a una postura con lingua bassa e rischio di respirazione orale, masticazione prevalentemente verticale, tendenza ad assumere una forma ogivale del palato.

– Deglutizione a spinta linguale complessa: decisamente più grave della precedente, provoca vari disturbi. Tra questi segnaliamo: morso anteriore che arriva fino ai premolari, significativa profusione linguale tra le arcate dentarie, mancata serratura dei denti durante la deglutizione, masticazione anteriore e malocclusioni dentali frequenti.

  • Deglutizione infantile vera e propria: è la forma di disfagia atipica più simile al modello deglutitorio del neonato. In questi casi si verificano: permanenza del riflesso di deglutizione infantile, forte spinta linguale tra le arcate dentarie, mancata serratura dei denti durante la deglutizione, diminuzione della mimica facciale e respirazione orale frequente anche nei momenti di riposo.

Conseguenze della deglutizione atipica

Un mancato trattamento terapeutico della deglutizione atipica può provocare disturbi non solo di carattere odontoiatrico. Tra questi segnaliamo:

  • denti sporgenti (overjet dei denti);
  • palato ogivale;
  • alterazioni della masticazione;
  • problemi posturali;
  • disturbi della fonazione;
  • alterazioni estetiche;
  • aerofagia e globo isterico.
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Disfagia

Disfagia: significato e cause

La disfagia è un disturbo comune legato alla difficoltà di deglutizione che può manifestarsi a tutte le età, anche se è prevalente tra la popolazione anziana. Tale problema può essere temporaneo o permanente e può riguardare sia uomini sia donne. Ma di cosa si tratta nello specifico?

Cos’è la disfagia?

Il termine disfagia indica qualsiasi disturbo nella progressione del cibo dalla bocca allo stomaco e può coinvolgere ognuna delle fasi della deglutizione. La deglutizione è la capacità di incanalare sostanze solide, liquide, gassose o miste (cibo o bevande, da soli o insieme) dalla bocca allo stomaco.

È un processo complesso che prevede una rapida coordinazione di un insieme di muscoli che permette da un lato il passaggio del bolo – ovvero del cibo masticato, impastato e imbevuto di saliva – verso l’apparato digerente e dall’altro la protezione delle vie aeree e dei polmoni dal pericolo di aspirazione e/o di penetrazione.

La deglutizione è un processo in parte volontario e in parte di natura riflessa, in quanto alcune fasi non sono sotto il nostro controllo e sono pertanto involontarie. Se ci sono delle complicanze durante questo processo, possono esserci delle conseguenze anche gravi, come la polmonite ab ingestis.

Riconoscere questo disturbo in tempo è fondamentale per la sicurezza e la vita del paziente.

Quali sono le cause della disfagia?

La disfagia può avere diverse cause e secondo l’American Gastroenterological Society possono essere così classificate:

  • Neurologiche – tumori del tronco, trauma cranico, stroke, paralisi cerebrale, sindrome di Guillain-Barrè, morbo di Huntington, poliomielite, sindrome post poliomielite, discinesia tardiva, encefalopatie metaboliche, sclerosi multipla, sclerosi laterale amiotrofica, demenza, morbo di Parkinson e morbo di Alzheimer;
  • Strutturali – barra cricofaringea, diverticolo di Zenker, cicatrici cervicali, tumori orofaringei, malformazioni congenite, osteofiti e malformazioni scheletriche;
  • Miopatiche – malattie del connettivo (overlap syndrome), dermatomiosite, miastenia grave, sarcoidosi, distrofia miotonica, distrofia oculofaringea, polimiosite, sindromi paraneoplastiche;
  • Iatrogene – effetti collaterali di terapie farmacologiche, conseguenze post chirurgia muscolare o neurogena, effetti da esposizione a radiazione, corrosiva (lesione da pillole, intenzionale);
  • Infettive – difterite, botulismo, malattia di Lyme, sifilide, mucosite (da herpes, cytomegalovirus, candida, ecc.);
  • Metaboliche – amiloidosi, sindrome di Cushing, tireotossicosi, morbo di Wilson.

In caso di sospetto di disfagia è auspicabile contattare il proprio medico e seguire l’iter necessario per la diagnosi di tale disturbo per comprenderne il grado di gravità e le modalità di risposta.

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Valutazione disfagia: i test più diffusi

Effettuare una valutazione certa e tempestiva dei disturbi di disfagia significa migliorare la qualità della vita di chi ne è affetto. Ma quali sono i test diagnostici più diffusi?

La disfagia è un disturbo che colpisce circa il 20% della popolazione italiana over 50. In particolare, si riscontrano importanti difficoltà deglutitorie nei malati di Parkinson (50-90%), nei pazienti colpiti da ictus (40-80%) e nella popolazione affetta da sclerosi multipla (33-43%). Oltre a tali dati esiste una percentuale di persone che soffre di disfagia di cui però non è ancora stata effettuata una diagnosi precisa. Stiamo parlando di una percentuale che arriva fino al 95%. Anche per questo motivo è fondamentale una valutazione certa e tempestiva del disturbo, così da mettere in atto tutti gli accorgimenti possibili per migliorare la qualità della vita di chi ne è affetto. Ma come si effettua una valutazione della disfagia? Quali sono i test diagnostici più diffusi?

Premessa importante per qualsiasi test di valutazione disfagia è lo stato di coscienza del paziente. In caso di soggetto non vigile o con dispnea, non è possibile condurre alcuna prova di deglutizione. Inoltre, prima di passare ai veri e propri test, è fondamentale un’attività di raccolta dati e di intervista del paziente come parte integrante della fase di accertamento.

Effettuate tali analisi preliminari, si può partire con i test di screening della disfagia. I più diffusi sono i seguenti:

Gugging Swallowing Screen (GUSS)

Si tratta di un esame clinico internazionale che consta di due fasi:

  • valutazione indiretta della funzione deglutitoria
  • prove di deglutizione diretta di sostanze di consistenza semisolida, liquida e solida.

Ogni paziente esaminato ottiene un punteggio (da 0 a 20) che ne determina grado e categoria di disfagia.

Three-oz Water Swallow test (WST, Test di Smithard)

Questo test di valutazione disfagia prevede la somministrazione al paziente di 5ml d’acqua a temperatura ambiente con un cucchiaio per 3 volte e, ogni volta, verificarne l’avvenuta deglutizione. Se il paziente presenta episodi di forte tosse o voce gorgogliante, il test viene sospeso. In tal caso si riscontrerà un grado 4 (Disfagia grave). Se il paziente invece non tossisce, si procede offrendogli dell’acqua direttamente da un bicchiere e, dopo qualche secondo, si valuta la qualità della sua voce. Se anche in questo casi si riscontra voce rauca e/o gorgogliante e tosse, il paziente viene classificato con il grado 3 (Disfagia moderata). Quando invece si riscontra solo voce rauca e/o gorgogliante viene assegnato un grado 2 (Disfagia lieve). In caso di test negativo si procede con un nuovo esame, questa volta con 50ml d’acqua. Se anche in questo caso il paziente non presenta alcuna difficoltà deglutitoria, potrà essere accertato il grado 1 (Disfagia assente). 

Infine è bene segnalare che esistono due varianti di tale test: il WST sensibilizzato con pulsossimetro e il WST sensibilizzato con auscultazione.

Bedside Swallowing Assessment

Molto simile al WST, si tratta di un test che prevede la somministrazione al paziente di un cucchiaino d’acqua a temperatura ambiente. Dopo 10-15 secondi si verificano eventuale gorgoglìo della voce ed episodi di tosse. In caso di risposta positiva del paziente, si prosegue con la somministrazione di 50ml d’acqua e la constatazione di evidenze di ristagno faringeo, tosse o gorgoglìo nei minuti successivi. A ogni rilievo viene dato un punteggio che determinerà la presenza o meno di disfagia. Il Bedside Swallowing Assessment prevede inoltre la valutazione di parametri quali il livello di coscienza, il controllo della testa, del busto e la respirazione.

Test di Daniels

Corrisponde a una tabella nella quale sono segnalati i 6 sintomi di aspirazione: disfonia, disartria, tosse volontaria, ridotta tosse post-deglutizione, riflesso di nausea alterato o assente, cambiamenti nella voce dopo la deglutizione. Un caso di disfagia è accertato in presenza di almeno due fra questi sintomi.